I.
Dunque ti dicevo, amico caro,
che la neve qui non arriva a gelare il mare
e la pioggia si fa densa come si conviene
alla lentezza di una danza che inzuppa
le fosse le offese le parentesi quadre
delle mie incertezze.
Poi allora e ancora, ti direi, mio caro
quanto senza te non avrebbe più senso
il giorno e la tua lotta, la malattia,
l’offesa di una società maldestra,
dimentica, nell’agonia lenta,
che tutto lecita senza riservo,
e ti dicevo – amico sempre caro –
quanta sofferenza l’assenza di giudizio
come mi hai insegnato
nel prendere posizione pagando il dazio
della colpa e del peccato
della libertà di pensiero.
Nulla mi è stato dato di più prezioso
che il conoscermi davvero
e un paio di ali per volare in cielo
e da lì guardare il mondo con distacco,
niente mi è stato dato di più vero
di una mano per dirmi: “vola”
e del silenzio paterno che indica senza consiglio.
Dunque amico mio, questa buonanotte
arriva adesso come ouverture di una quieta
forma di giudizio, una rassegnazione consapevole
alla solitudine del mondo
che nulla mai potrà levare o aggiungere
alla serenità del tuo passaggio
nel mio cuore.