“Era l’unica cosa da fare”, ripeteva tra sé, stringendo i lembi del cappotto sul petto. Non aveva mai creduto alle cose durature, all’eterno manco a parlarne, ma non riusciva a dimenticare quel volto, quello che avrebbe dovuto cancellare col suo solito cinismo.
La stagione delle cose passate, quella degli ideali per cui lottare si era spenta dentro il suo sguardo cupo, che a guardarlo bene fino in fondo, rifletteva un abisso di paure e rimpianti infantili, che solo gli abbandoni ingiustificati possono generare.
Aveva visto disfarsi ogni angolo dalla casa. La famiglia sgretolata dai suoi errori. I suoi errori erosi dall’amore morboso di una borghesia esistenziale che lo voleva incastrare.
“Come si nasce anarchici?”, si chiedeva.
“A ben vedere è un dato esistenziale”, diceva.
“Genetico”, gli avrei voluto suggerire, tuttavia l’aggettivo che avevo scelto cozzava, ingiustificato, con la postura perfettamente adagiata all’equazione sociale che la sua famiglia aveva sempre espresso, godendo del rispetto e della stima di tutto l’apparato partitico e familiare di quella città così piccola e tanto stretta da farlo soffocare.Continua a leggere…