#8 brevi sceneggiature

La cura del dettaglio gli richiese una lunga scenografia meditativa. In fondo sapeva bene l’orgasmo segreto e intimo delle plausibili possibilità, che il vaglio minuzioso di ogni scarto di luce e ombra, di ogni parola, di ogni impronta, oggetto, traccia, lasciata e disseminata quale volontario e cosciente indizio, avesse la sua fondamentale importanza per l’esatta riuscita dell’uscita di scena: una caccia al tesoro, un gioco bambino di tenera crudezza, puerile cattiveria.
Dipartire in fondo è come punire, è chiudere la coscienza dell’altro dentro lo sgabuzzino buio dei peccati e dei ripensamenti: una sorta di omicidio sottile. Crudele.
Prevedere tutto o, per lo meno, illudersi di saperlo fare, era l’eiaculazione cerebrale che lo accompagnava nella consapevolezza mista al compiacimento del dolore proprio alla ragione.
I suoi pensieri si sedettero dinanzi allo scrittoio che non fungeva da scrittoio, con le mani che reggevano le tempie, il viso basso a fissare il legno. Ogni scena delineava un’espressione sorda: capitolò un sorriso, seguì una lacrima.
Non si pentiva di saper piangere, anche se lo nascondeva per pudore, con la consapevolezza che la forza di quel gesto così intimo, nelle prime ore dell’alba, avrebbe rintuzzato il ticchettio del tempo, rendendolo qualcosa di presente ed estraneo, cui comunque avrebbe dovuto decidere di dar conto.
Vagliava il caso, senza lasciare che nulla gli appartenesse realmente.
Finché la luce non si fece ferita netta tra le tapparelle e il ripiano su cui aveva giocato la sua immaginaria dipartita, ricordandogli che era tempo di sbarbarsi, indossare il volto d’occasione e rimandare alla prossima intimità la continuazione della sceneggiatura della fine. –

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