Cara nonna Nicoletta

il tuo ricordo sa di rose secche
petali benedetti di maggese
raccolto in lino grezzo

tutte le tue preghiere per il mio a venire.

dove metterai il punto
la remissione ai miei peccati?

T’avrei scritto l’infinito
se solo avessi saputo
di calcoli esatti
di carattere binario

ma so solo tenere il tempo
di una vecchia canzone
e della tua ansia per ogni mia sregolatezza
da sedare col profumo di gelsomino
nella piaga dei seni costretti al cilicio di un bustino
che contenesse il pudore di ogni tuo abbraccio.

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L’accidia delle rondini

[ebbero le occasioni per le trecce
e i pantaloni corti, finché non bastò
che poco più di un silenzio a coprirne
i corpi con la mano, come una foglia
di fico, il gesto di Adamo, e declinarono
ogni splendore passato all’insolenza
dell’infinito.]

*

C’è stata una casa quasi forma
della loro appartenenza, in cui le pareti
avevano la voce delle braccia
nei corridoi, tra le notti, dei primi vagiti
quando il silenzio delle rondini
garrisce l’accidia dei nidi abbandonati
al bisogno di tepore, di un becco da sfamare.

*

Avevano coltelli nella bocca
ore infinite a far ombra alle ciglia
la città come margine di scarto
tra l’incuria del lago e una stanchezza.
Correva l’anno di quel che era stato
la casa e due pareti, un argano,
un imbuto. Sarebbero arrivati
laddove vira il vento, tra resti
di bottiglie e peccati senza tempo.

*

[Betsabea sbocciò come una rosa d’acqua
e dal peccato nacque la saggezza]

La vita è un velo impuro
un’organza macchiata dal principio
una crocifissione alla morale acquisita
una resurrezione d’istintiva sopravvivenza.

*

C’è sempre una finestra, un tavolo, una
sedia, e ci sono ancora le cose a far
risaltare la nudità del nostro
essere presente e osceno dell’immaginario,
realtà e diritto negato,
possibilità o negazione del fiato.

*

Lo sguardo si poggia su tavoli e cose
delle quali percepisce la materia che non è più,
la distanza tra quanto sarebbero per natura
e la trasformazione morfologica che è stata loro imposta.

*

il senso dell’assenza è invadente,
confina in un angolo al margine delle
pareti, taglia la continuità del percorso
tra lo sguardo e il muro, ti dice
che la deviazione è una sorta di conseguenza,
una gabbia, una parvenza di movimento
inscatolato al limite dello spazio
tra l’illusione dell’aria e l’esistenza sottovuoto.

*

un freddo innaturale come un vuoto
raccoglie il battito sui polpastrelli
– up and down up and down – giri di vite
scavano ad ore i minuti le arterie
mentre si crepano di un suono sordo
gli occhi in attesa del nulla nel vento

*

si apre e si chiude la ragione
dei fatti speculari alle parole
– dopo tutto cosa resta? – diceva,
– è una malattia il giorno, la putrida
verità del nostro orgasmo –.

Poi passarono mille anni
che furono solo giorni
finché non si perse il conto
di ogni chi, di ogni quando.

[…]

Paradigmi per una diversificazione della scrittura poetica: il ritmo e l’oggetto

Cinema all'aperto. Le signorine attendono la nuova programmazione (scatto di natàlia castaldi)
Cinema all’aperto. Le signorine attendono la nuova programmazione (scatto di natàlia castaldi)

1.
Vorrei che la parola fosse un corpo freddo | da osservare col distacco della morte, | un’estrema forma d’arte inchiodata al muro, | alla carta, | alla parete delle ossa; | scoprire nello sguardo di chi legge lo stesso cinismo che muove le dita, | quella furia fredda e calma, ossessiva e maniacale, di amare le cose fino a vederne la loro lenta distruzione. || Sarebbe tutto quello che resta, | la parola-reliquia delle ossessioni che l’hanno scomposta, | una morte fissa che sconfigge la vita nel suo finire. | L’ultimo possibile atto d’amore. ||

2.
L’attitudine a far perno su ogni particolare | che inceppi la lingua dove il dente duole | ha un non so che di amorale | come tutto ciò che fa dell’arte una pura fissazione. | Si è parlato di “distrazione” centrando l’oggetto dell’agire intorno alla parola che divide, frammenta e spezza la sequenza logica dell’azione. L’assioma del filologo dal centro parola si allarga a raggiera, comprende l’opera dal basso, come il tonfo di un sasso comprende l’inquietudine dell’acqua nella sua postura fintamente statica, che pure illude con apparente fermezza lo stato di attesa preesistente all’azione posta in arte, come tuffo en abîme che si rinnova in superficie con l’argomentazione di un diapason d’acqua.

3.
Non splende “aura” alcuna?
Non si potrà negare che la disconnessione aprioristica degli elementi dall’insieme non presuppone affatto una randomizzazione degli stessi in un aggregato a caso. Qualunque elemento si collochi nel divenire dell’intento logico del dire, ha sua dignità espressiva a prescindere dal contesto in cui si muove, ma al contempo inscindibile dalle correlazioni storico-letterarie e sociali in cui si muove l’ autore. La negazione dell’interazione degli agenti esterni ed interni all’arte stessa, si fa oggetto di indagine scientifica che viviseziona, ma non funziona.

[…]

L’elogio dell’incompiuto” 4.

 

Un’inconsueta lentezza nel latte al mattino
accompagna la pesantezza del pane duro a colazione.
Un senso di incompiutezza ricopre l’aria,
le signorine ortensie e la vecchia palma
colma di datteri sempre in offerta.
Si dice che l’amore si semini per sradicare le ortiche,
io vorrei rovi di parole per sciogliermi le labbra
e tentare una risposta all’ombra dietro la credenza
che minaccia la parete scoscesa nell’incavo della coscienza
sì che fosse normale che d’agosto s’intreccino le vie d’aprile:
“oggi è il ventotto” – nel trasalire al computo delle cose del reale –
_____________________  “ricordo bene il fiorire dei vetri

_____________________   colorati sui viali dello stupore
_____________________   privo della nostra consistenza”.

 


 

il 28 è un numero ricorrente nella mia kaballah, l’intero computo numerico temo possa solo restare parte del mistero di quanto rimane oltre il compiuto e l’incompiuto.

L’elogio dell’incompiuto – 2.

copertina VerdeAcqua, rigida appena, scaffale 12:
classici senza tempo – etichettava
quando voltò pagina per entrare dove si sarebbero
prese per mano nel sapore acceso del mattino.

Dunque, cominciò a reggere l’aurora
tra il freddo e le dita un tè bollente
– macchinetta, pochi cents, per farla breve: il solito languore d’ossa.

Allora scrisse, come sempre scrisse,
con la profonda inutilità della sua intuizione
(tutti sanno che bene o male qualcuno, prima, avrà già avuto
la medesima meglio riuscita ispirazione):

Mia Cara,
ci fu un mattino che come ogni mattino
raccolse ferocia e memoria,
poi venne l’acqua a ricucire gli occhi
alla ferita e di seguito furono trapunta e piumino,
la punta del naso, una montagna
di capelli, indifesi come solo gli ombrelli
spogliati dal vento.

La verità è sempre la solita vecchia storia:
Siamo nudi Piccoli grossi Seni
pronti ad allattare il Mondo al primo Vagito
finché non giungono Ruvidi i saluti
Neri Nei ai capezzoli Offerti nel dove e nel quando
la Vita incontra l’insolenza delle cose rapide
[così inutili le più belle!]
per dirci l’eternità di un istante.

_______________

A Viola per l’eternità di ogni istante.

“copertina VerdeAcqua” – qui si fa riferimento al libro di Viola Amarelli “Le nudecrude cose ed altre faccende”, ed. L’Arcolaio

L’elogio dell’incompiuto – 1.

il miracolo di quelle cose libere che si amano così,
così – quasi fosse
l’impossibilità di domare la pelle del mare,
o la riva del fiume quando devasta la saccenza
delle previsioni oltre l’abisso della sorpresa,
ma è solo
[o_siamo] una parola che svolta
– dunque, eccoci: prossima scena:
il tavolino si allaga [dentro lo sguardo di una donna]
lui osserva. Si suppone che piovesse,
non è detto un pianto, si suppone ancora una sorpresa:
______ lei non chiese, lei non aspetta.
Ricapitolando, dunque:
C’era una donna, poi fu un seno
e più tardi ancora un piccolo ristagno
che chiamarono cielo
come il grido di chi nasce
nel silenzio di chi muore.
Si aggiunsero poi
un’unghia spezzata, lo smalto, pezzetti di memoria,
vetro colorato, calze a rete,
– si disse un tempo di una riga che saliva su per il polpaccio alla coscia:
__________________ un’ascesa al paradiso.

Di tutte queste cose libere è la natura terrena dell’amore
quando mima il suono dentro il petto che sembra mio così pieno,
piccolo grosso, distrattamente andato
giù dabbasso al ventre maturo
– si disse un tempo: turgido, bianco, come qualcosa di incompiuto:

ma la natura distratta delle cose
è un equilibrio di terrena assoluzione,
la sorpresa per ciò siamo, che mai saremo.

L’elogio dell’incompiuto – 0.

La vita è l’elogio dell’incompiuto, niente più della vita conosce ogni irrisolto e plausibile risvolto della sua stessa esistenza. L’unica compiutezza della vita sta nel suo esatto contrario, quello di cui non abbiamo diretta esperienza e che ci risulta comprensibile solo come suo opposto, ossia non-vita, dunque morte; ma pure dinanzi a quest’ultima possibilità, quale causa, effetto e conseguenza dell’esistenza stessa, non c’è vita che possa dirsi realmente compiuta, finita; giacché è il concetto stesso di finitezza che non ha alcun riscontro nel nostro stato di appartenenza microscopica ad un insieme infinito, inconcluso, irrisolto nel suo equilibrio di incommensurabile ed incomprensibile compiutezza.

 è una bugia d’infinito questo biancore di spazi sospesi
nella presunzione di una plausibile appartenenza

________________________  che sgomenta

come la logica di un punto che non origini retta né parallelo
ad altro che ciò che tocca, come la superficie oscena di una pagina virginale 
e la b e l l e z z a ] quando somiglia alla perfezione e le si avvicina, f r e d d a ] lenta.

[con l’imprevedibile ovvietà delle domande che non vorresti porti]

Si potrebbe obiettare che il passaggio della vita nel suo contrario segni la fine, quindi la conclusione dell’esistenza, e in un certo senso una simile affermazione pare avere un logico e tangibile riscontro: un corpo vivo agisce, un corpo morto cessa di partecipare all’azione; pur tuttavia, nonostante l’esistenza abbia una sua biologica fine, nel suo svolgimento non fa altro che mettere in moto un ventaglio di concatenazioni tra causa ed effetto, che nel metterne in luce l’aspetto della reiterazione a catena e della continua sospensione, rivela una quantità di implicazioni irrisolte che ne determinano la sua effettiva non-fine in aree recondite e non sperimentabili di spazio e di tempo, che continueranno la loro funzione determinante nel concatenarsi di altre cause e altri effetti sull’esistenza del singolo e su quella delle esistenze che per causa ed effetto si ritrovino nelle medesime aree spazio-temporali. La serie delle concatenazioni esistenziali ha un raggio d’azione talmente vasto da potersi considerare l’unicum delle esistenze in un’unica irrisolta, eterna, inconclusa pulsione vitale ed esistenziale.
[…]

oggetti

1978601_10204063513818103_2488025076162653554_oCome si può descrivere l’esistenza di un oggetto, di una cosa che non vive solo di se stessa, ma che immersa in un ambiente ne fa parte senza prenderne parte, come te, che te ne stai lì a osservarla mentre in qualche misura, senza consapevolezza alcuna del tuo ruolo in quel determinato equilibrio, ti rendi conto di farne già parte che ti pare di sentirla quella cosa lì, proprio per te, come dicesse “accomodati, ti stavo aspettando”.

Il mare che pensa – di Edoardo Ischia

Immigrazione: Marina verso soccorso 207 migranti su 2 barconi

Il mare che pensa – e noi che senza non sappiamo nuotare
e lui che vuole solo volare.
Noi sappiamo cercare – e lui che ci fa sprofondare.
Il mare è nostro – non è un mostro
di rifiuti e pattume, 
è un luogo comune – di vita e speranza – che decide a oltranza
dove gettare le sue onde –
di pensieri e fosse profonde.
Fatevi avanti – noi siamo matti
perché è il mare – che ci separa dal male di odio infame –
che ha sempre fame.
Pregate Dio, Allah che sia
perché è il mare la retta via.
È un mondo perfetto – sempre contento.
Lui che sente – che crede – che vede – che prende
la nostra fede – la nostra vita per la sua.
Questo è il mare – bello e letale
che da e prende -le navi che navigano – i marinai che pagano.
Il mare è il paradiso – creato da dio – di metallo
stridio di luna e sole
semplici parole che sento col cuore,
che il mare gradisce e brandisce
come tridente bello e potente

 

***

 

Edoardo Ischia ha 12 anni, frequenta la prima media e vive con la madre e il fratello Milo a Campo Calabro (RC).

dalla raccolta inedita “breviario”

19042015

Gesù nei Golgota di questi flutti
l’ascesa è uno sprofondamento
nel martirio del rosso specchio
______________________ degli abissi
che riflettono speranze spezzate
nei singulti degli affamati.

Quanti agnelli, quante pasque di resurrezione
per questo disumano sistema
mortale?

*

Sanguina la sera crocifissa a questo
rosso quasi estivo, ha saputo dei corpi
che affondano disperazione
in questo cimitero spaventoso
di bellezza e di mare.

S’inchina il cielo raccolto in preghiera
brilla vermiglio l’impotenza senza
lacrime, quest’assuefazione lenta
__________ _________ all’orrore

***

#7 – poesie per mio figlio e altre faccende.]

nel tuo dormire si spoglia l’intera
frequenza delle tensioni del giorno
la miracolosa vertigine del sogno
s’apprende alla leggerezza del tuo sonno

niente spergiuri misericordiose ansie:
la pioggia stanotte batte la notte
ripercuote le giornate come una sferzata di benedizioni
che alleggerisce la coscienza dagli orrori
lava via la presenza del nostro coesistere al mondo.

la lentezza del pensiero in te s’accuccia madrefiglia
in te riprende fiato.

#8 – dalla raccolta: poesie per mio figlio e altre faccende.]

quando al mattino ti svegli assonnato
e svogliato stizzisci al mio –buongiorno!
ti fa da richiamo la colazione
d’orzo dolce e chicchi di grano,
mentre osservando la noia che t’arreca
il mio dovere materno,
faccio riserva d’attese e speranze
per quando non potrò più espiare
_________ __________ la svogliatezza
dell’iniziarti a vivere secondo
dopo secondo.

poesie per mio figlio I

ho scritto le migliori poesie
ponendo asterischi al margine
di uno specchio di stelle per carpire
i tuoi pensieri nel riflesso
delle mie lune

nel rileggerle a distanza di anni
col senno di poi e la senescenza
che acquieta
compongo arcobaleni di ricordi
nella scia di una supernova
in equilibrio tra speranza e delusione

sapere di aver fallito, sbagliato, ferito
è una consapevolezza che non voglio abbandonare

se mi giustificassi con te, bambino mio,
sarei indegna di averti amato.