amico. – a g.m. – ora.

[in fondo alle ali ritroverai quel mio volo
e so che ricorderai che cantavo ballando anche il dolore più nero,

il rancore non mi appartiene
per quanto sia duro il male
per quanto io sappia sbagliare]

si va per tentativi
in fondo ciò che è importante
è non morire di rimpianto
per quanto non possa capire
o non voglia ascoltare
il bello delle cose che sta nella memoria
si serba
e che creda di cancellarne il male
o solo il bene
è quanto di più sottile intimamente voglia
portarmi dietro, dentro, sottopelle.

La casa dello Zorio (di Enrico De Lea)

Carteggi Letterari - critica e dintorni

OLYMPUS DIGITAL CAMERA Coltivo sempre i segni del disastro. E qui ci sono arrivato di corsa, come nei vent’anni di vent’anni fa, spedito, tutto d’un fiato correndo in salita per Via Ripida e Via Giordano Bruno, scartando i sassi sconnessi dell’acciottolato e quanto di urticante possa nascondersi tra le erbe spontanee di viuzze sempre meno battute, su, di corsa, fino all’icona in pietra cimino di Sant’Antonio Abate, dove anziane e giovani facevano tanto curtigghio all’ombra. Ci sono tutti, i segni, qui allo Zorio: le case si sono svuotate nel tempo. Tutto è ruzzolato giù verso la marina, da Rina fino alla fiumara. Come un sasso che staccandosi e cadendo tira via il successivo e uno dopo l’altro fanno valanga, il quartiere, come il resto del paese, è rimasto una roccia polverosa e nuda. Oggi ci arrivo con il mio disastro. Le case sono vuote ed anche la mia casa è vuota. Sia quella…

View original post 63 altre parole

Poetica del basso continuo

la Dimora del Tempo sospeso

Ida Travi, Poetica del basso continuoIda Travi

Il vincolo

Come un bambino la parola nasce e non è sola. Nasce da un essere umano, ma non nasce una volta sola. Nasce continuamente, muore continuamente, per questo il mondo non le apparterrà mai. Per questo il mondo non avrà mai una parola definitiva.

La parola esce dalle labbra in stato d’emergenza. E’ un movimento d’uscita, sì – va verso il fuori, venendo da dentro. Coincide col movimento del ritorno e dell’addio. E più la parola è poetica – cioè più autenticamente politica -, più stretta è la porta da cui riesce a passare. Stretto è il passaggio da cui esce la parola, stretta è la parola finché qualcuno non la spalanca in chiacchiera.

La parola non nasce libera, viene al mondo in un vincolo, e sì, la vita della parola è il movimento di liberazione da quel vincolo. Come il primo respiro, come quando la testa…

View original post 56 altre parole

Vecchie aperture: tre prose liriche

Carteggi Letterari - critica e dintorni

Ante notturne

 

 

Da anni ormai non riesco a non odiare quelle ante veneziane, che non sanno cedere agli immillati toni della soffusione: troppa luce o troppa ombra le trapassa, un manicheismo oltremodo viscerale per lasciarsi apprezzare. Ma la notte, solo nella notte, quando quel velluto oltremare drappeggia e copre l’indefinita macchia ignota, il filtro si annulla e apre lo spasimo a recessi più profondi, a sogni mai sperati nel trambusto abissale d’un sole appannato in eccesso, per le mie abitudini. Ora è la vergine brufolosa a dominare (luna la chiamano in tanti), a dettare i tempi degli innamoramenti, dei supplizî: parassita sospesa d’altre fiaccole, si staglia – sentinella d’eterno – cacciatrice solitaria d’ogni respiro oscuro.

Sporgersi adesso non serve, non serve origliare le idiozie dei passanti, gli screzi delle biciclette, il silenzio avvolge più stretto, la sua tempra dura e lasciva feconda l’anima, la ripara dai disastri del…

View original post 506 altre parole

Il Theremin: suono scolpito nell’etere

Carteggi Letterari - critica e dintorni

image

Sfiorare l’aria, accarezzare lo spazio, plasmare l’invisibile e nello stupore produrre suono: non è miracolo, non è fantascienza ma ciò che appare al sensibile occhio che osserva un suonatore di Theremin. Lo strumento – detto anche eterofono – fu ideato nel 1920 da Lev Sergeevič Termen, meglio conosciuto come Léon Theremin. È formato da una base definita “chassis” che contiene la struttura elettronica e il suono viene generato allontanando e avvicinando le mani da due antenne: l’antenna superiore, posta verticalmente, permette di controllare l’altezza del suono, mentre l’antenna laterale, posta orizzontalmente, ne modula l’intensità. Il particolarissimo e ricercato timbro varia, in relazione al modello, richiamando sonorità che vanno da quelle degli archi alla vocalità umana. Il fisico russo – che era anche violoncellista – durante alcuni esperimenti con amplificatori a valvole, si accorse che il fischio generato cambiava frequenza spostando le mani rispetto a quei dispositivi:…

View original post 301 altre parole

Una sedia scricchiola nel silenzio di un cortile – Spazio inediti: Giuseppe Condorelli

Carteggi Letterari - critica e dintorni

C’è il buio che corrode e ci lascia in un angolo di cortile con le ortiche e vecchie foto nelle mani. Un sogno scandito dal tempo, dal sonno, dalle rotte degli aerei, dalle sere in periferie che svanisce in un bagno d’arresto. Ci sono parole messe in linea a spezzare il silenzio dei fogli.

Poi una sedia che scricchiola: “semu chistu/sta canni astruppiata”.

Condorelli ci trasporta in una riflessione personale e metafisica sul sedimentarsi dei ricordi e sullo stratificarsi delle emozioni di un vissuto proteso verso la realizzazione di un sogno, a tratti malinconico e doloroso per quel trascorrere stesso del tempo che tutto allevia e tutto leviga nell’oblio di ciò che non tornerà.

L’uso del dialetto catanese ben rende il senso ultimo della riflessione poetica, quelle dolorose ombre lunghe gettate dall’età matura sul vissuto, “l’occhi mucati ppi non vidiri” il buio dietro le porte socchiuse.

*

Poi i fogli spezzano
la linea della parola
lo strazio dei viali
lacera la città

View original post 514 altre parole

Ventitré gradi e Ventisette primi

Carteggi Letterari - critica e dintorni

di natàlia castaldi

A primo impatto la lettura del romanzo di Fabio Ognibene, 23° 27′, sembra inserirsi a pieno titolo nel filone letterario esistenzialista e ontologico di matrice heideggeriana, dacché il senso incombente della morte insieme a una coltre di immobilità e mancanza di progettualità nel lento avvicendarsi dei fatti costituiscono l’atmosfera, il peso specifico della struttura scenica in cui si muovono le vicende dei personaggi. Ma Ognibene, che in questo romanzo sembra assumere una postura più da osservatore attento che da vero e proprio narratore, usa “sospendere il giudizio” nell’inquadrare minuziosamente i fotogrammi di questo microcosmo con gli occhi del fenomenologo, con intenzione ma anche con empatia, delineando una “regia” nell’intersecarsi delle vicende in sequenze cinematografiche o fotografiche, che fa volentieri a meno, nella misura del possibile, di spiegazioni che appiattiscano o rendano chiaramente consequenziali motivazioni e nessi causali in un’unica decifrabile trama. Ma si badi, questo…

View original post 509 altre parole

Il Diario di Hermes di Daniele Baron III° estratto

Words Social Forum

“Il diario di Hermes” è ancora in fase di formazione, si compone per sedimentazione come una roccia, ha un principio e avrà una fine un giorno (non so indicare quando ciò potrà avvenire: forse sarà un compimento, più probabilmente sarà un distacco, un passaggio inevitabile ad altro, lasciando tutto sospeso nell’incompiutezza), non è nato come progetto. In un certo senso, può essere letto come una specie di strenua resistenza ad un progetto.
Difficile per l’autore dire che cosa sia. E per il fatto che è ancora in fieri, e per la sua natura specifica. Insieme è interessante, ora che i giorni si affastellano (sono giunti a XXXI), cominciare a fare il punto, a guardarsi alle spalle.
Il titolo a prima vista suggerisce la composizione e vagamente l’argomento.
La composizione: sono pagine di un diario, si susseguono come pensieri di giorni successivi di un soggetto. La loro forma è congeniale per…

View original post 3.476 altre parole

Tenerezza

POCHI AMICI * MOLTO AMORE :: Il blog di Carmine Mangone



Mi vado ricongiungendo con l’essenziale, molto lentamente, senz’alcuna fretta, come se la vita non dovesse mai finire, facendo di alcuni attimi un ponte, una passerella gettata su quello splendido abisso fiorito che è la continuità tra tutti gli eventi fondamentali dell’universo. Intensità, compassioni. Picchi che allacciano la potenza del vivente senza contenerla. Nella nostra presenza, nel candore di un diuturno ricominciamento.

La notte scorsa ho sognato i miei nonni paterni. Le mie radici contadine, i miei rami più teneri e scomposti. Erano nel loro casale di Laureana Cilento, intenti a fare la solita pennichella pomeridiana. Arrivo portandomi dietro una rottura dell’immobilità estiva. Mi sorridono. Mi chiedono se resto. Mia nonna si alza a prepararmi qualcosa che non ricordo.

Sentirsi a casa nel risveglio. Sollevare i veli del giorno e sorridere. Scarcerare gli occhi. Lasciare che le lacrime (assenti da anni) possano ripopolare il giardino incolto della tenerezza.

Nessuno muore davvero…

View original post 34 altre parole

Autoritratto 2003, Giovanni Raboni

Carteggi Letterari - critica e dintorni

Giovanni_Raboni_1988

Ogni tanto mi chiedono – e qualche volta chiedo anche a me stesso – perché si scrivono poesie, come si comincia a scrivere poesie, come si scopre di aver bisogno della poesia. Per quel che posso ricordare è un’esigenza nata molto presto – io sono stato scandalosamente precoce come poeta, e come lettore prima ancora-, nata, credo, da un desiderio di emulazione: si leggono i poeti che si ammirano da ragazzi, da adolescenti, e si vuole essere come loro. Credo che questa sia una delle molle principali, almeno per me è stato così. Naturalmente, a monte ancora c’è qualche mancanza, una qualche ferita, perché io credo che se uno fosse perfettamente felice e in pace con se stesso non gli verrebbe in mente di scrivere poesie, e probabilmente nemmeno di scrivere musica, o nemmeno di fare dell’arte: che la poesia supplisca a qualcos’altro credo sia abbastanza vero, però, per quel…

View original post 3.142 altre parole

Carteggi privati – Corrispondenze da Freud a Barthes

Carteggi Letterari - critica e dintorni

Cosa vuol dire «pensare a qualcuno»?

Freud lo assimila al dimenticarlo, all’oblio: io non ti penso, ti faccio semplicemente tornare alla mente, a misura che cresce in me l’oblio di te (da Frammenti di un discorso amoroso, Roland Barthes). La marchesa di Merteuil  (quella delle relazioni pericolose) sostiene che quando scrivete a qualcuno lo fate per lui e non per voi, a tal punto che  il pensiero che indirizzate non vi appartiene del tutto. Cosi dal pensare al pensare a qualcuno e allo scrivere questo pensiero si opera una migrazione di intenti che ci pone di fronte all’immagine dell’altro: l’altro diviene lo specchio del nostro pensiero.

La relazione semantica tra il pensante e il pensato mette in relazione due immagini e il pensare a qualcuno diviene un ponte attraversato vicendevolmente dal desiderio.

 

Corrispondenze

Io ti amo

  • Che vuoi dire?

Che ti penso.

  • Anche io ti penso

Si ma io ti amo.

View original post 156 altre parole