La supponenza e la presunzione di tanta critica nell’affermare non solo cose e presunti fatti, ma persino attribuendo pensieri reconditi ed idee a grandi come Leopardi e Pascoli (per dirne due) mi lascia a dir poco basita, per lo più schifata.
Ad esempio, ieri leggo un articolo di un tale che ha preso recentemente lo Strega, che parlando di Leopardi si porge al lettore con un tono di intimo sfottò nei confronti del “giovane poeta”, degno della migliore e paternale conoscenza di vecchia data, facendone marchette adolescenziali* e, sostanzialmente, senza dire nulla di nuovo o utile allo scibile letterario.
In conclusione, oltre ad attribuire la genesi de L’infinito leopardiano a un giovanile amore per i lirici greci, senza menzionare affatto il petrarchismo dello stesso, sottolineandone altresì una – dice lui – debolezza di pensiero che gli farebbe mal gestire la sovrabbondanza di pronomi e aggettivi, per poi inanellare una serie di pugnette critiche sul “rovereto” dapprima nobilitato in “lauro” e poi mediato in una più veritiera “siepe”, non resta nulla dell’articolo se non la presunzione di un pallone gonfiato che sfiata e scoreggia.
Come dire? Parafrasando: “leggerlo non serve a niente”
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*N.B.: Non se ne può più di queste quisquilie critiche da primo pomeriggio DeFilippiano.
della serie, il tempo lo seppellirà. Giacomo resiste…la différence…abbraccio
mais oui, ça va sans dire – abbracci tanti