le parole che vennero dopo

Frammenti di un lavoro in divenire:

Le parole che vennero dopo

Il progetto parte da Le architetture dell’orrore, che può considerarsi prologo dell’intero libro, e proseguirà con la vita di due donne che a specchio canteranno la loro percezione del mondo e degli eventi, i piccoli frangenti, le vicessitudini, gli incontri, le ansie, le paure, le passioni, i ricordi.
Il libro si apre dall’epilogo che le coinvolge entrambe e fonderà tecniche di scrittura diverse in un unico percorso narrativo.
(nc)

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Il rumore delle mani

Sin da bambini si impara misurando le distanze attraverso l’intensità dei rumori e l’alternanza di silenzi e suoni.

la profanazione di una casa vuota
si legge nel silenzio delle dita
quando registrano la pesantezza
del dono nel tonfo di un oggetto
mentre cade

I bambini non fanno che lanciare gli oggetti, buttandoli dal seggiolone per ascoltarne il rumore e imparare così la gravità del cadere. In tutto questo sperimentare-vivere-imparare, le mani e l’udito tornano a essere complici nella lettura e nella spiegazione del mondo, creando una sorta di secondo linguaggio.
Gli adulti invece si lanciano direttamente nel vuoto, senza la prudenza istintiva dei bambini.
Gli adulti usano le mani con la consapevolezza diretta di causa ed effetto e a volte uccidono con le mani, altre amano e dopo aver amato odiano o posseggono fino al delirio estremo della fine.
Creano anch’essi un secondo linguaggio ma, in questi casi, privo di comunicazione, sordo alla conseguenza del gesto e dell’azione, chiuso in un atto impositivo che nulla ha a che vedere col danno innocente dei bambini.
Anche il rumore delle mani adulte può essere delicato come una carezza, può modularsi in suono con la sapienza dell’esperienza di una vita, con la memoria dell’infanzia giocosa, nell’attesa di una vecchiaia di pacata saggezza. Eppure, nonostante tutta la conoscenza pregressa di secoli e storia, di scoperte e traguardi di arte e scienza, sempre più mani si mortificano nel sangue sacrificale di infanzie tradite, di madri e mogli sgozzate, di generazioni depredate dall’uso criminoso di mani che, giorno dopo giorno, si impossessano del loro futuro.

Zoccolino

*per la mancanza di un tè e una fetta di torta
il vecchio morì*

Us and them – Pink Floyd

Morì a novantotto anni, dignitosamente, senza troppo rumore. Una morte solitaria, di quelle morti che generano un piccolo parlare tra le scale di un portone e l’angolo del bar del quartiere, senza superare la soglia del negozio del fioraio, dirimpetto ai gradini freddi del Sagrato di Via della Mercede, cinta dai palazzetti bassi dell’oratorio e del collegio dei salesiani. A chi poteva mancare un vecchio pazzo che raccattava cianfrusaglie in un appartamento umido e poco arredato all’ultimo piano sottoterrazza di un palazzotto di Via Argentieri?Continua a leggere…

the lake

Il lago aveva una nitidezza particolare. Sarà che dopo la pioggia tutto assume una trasparenza consistente, quasi palpabile nel decifrare specularmente la natura morfologica del suo riflettere, ma la sensazione che dal lago oggi si diramava tra le cose, gli oggetti, i visi, le botteghe dei pescatori, il negozio del pane, era che ogni cosa fosse lì per assolvere una solenne restituzione:
smussare angolature e perimetri per coglierne l’esatta distorsione tra ciò che appare e quanto potrebbe realmente, o idealmente, essere.
Oggi il lago era la mimesi di ogni plausibile realtà nella liturgia del suo silenzio.

libertà come necessità

Mi sono ritrovata a riflettere su un passaggio scritto da Marco Rovelli che dice:

Oggi ho chiesto a Issa – un ragazzo del Sud Sudan – di tradurmi nella sua lingua, il dinka, “Nostra patria è il mondo intero, nostra legge la libertà”. Per spiegargli il significato di patria, gli dicevamo che è il luogo a cui ti senti emotivamente legato, a cui senti di appartenere, la tua casa, la tua terra.

e sulla differenza nell’interpretare parole e concetti da lingua a lingua; dunque mi sono detta che “libertà”, comunque la spieghi, è libertà per come la senti, è necessità e se non lo fosse, sarebbe un vero guaio;
o forse è già un guaio in tante parti del mondo e anche qui da noi, senza guardar lontano, ché pare abbiamo abdicato il nostro senso di Libertà a uno Stato d’Apparenza.
Poi sono tornata col pensiero al presente, al computo dei giorni, e allora mi sono detta che questa è “la notte dei desideri” e che io non ho grandi desideri per me stessa.
Guarire senza dubbio sarebbe una gran cosa, ma non chiederei mai di guarire come desiderio, i desideri devono avere un respiro ampio, non possono restare chiusi nel petto di un solo uomo.
Allora ho pensato che desiderare che la libertà torni ad essere intima necessità di ogni abitante di questo globo, per me sarebbe una conquista di civiltà cui dedicare questa notte che, nuvole permettendo, si spera stellata.

Summertime

Quando George Gershwin nel 1933 scrive il famoso spiritual Summertime, quasi fosse una ninnananna nera cantata nelle capanne ai margini dei campi di cotone

“Summertime, and the living is easy / fish are jumping / and the cotton is high / your daddy’s rich and your mamy’s good looking, / so hush little baby / don’t you cry”

probabilmente non sapeva che trent’anni prima, in Italia, Giovanni Pascoli scriveva questi versi:

“Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca. /Senti: una zana dondola pian piano, / un bimbo piange, il piccol dito in bocca; / canta una vecchia, il mento sulla mano. / La vecchia canta: intorno al tuo lettino / c’è rose e gigli, tutto un bel giardino”.

La vecchia col mento sulla mano canta la sua nenia in una notte d’inverno, mentre il tempo, inclemente, dimentica e cancella come un manto di neve ogni traccia di primavera, senza riuscire a eliminare dal cuore dell’orfano il senso di vuoto e l’assenza.

Summertime, allora, per questa notte di San Lorenzo, diventa una ninnananna per curare il pianto, sicché non si spenga ma si coltivi in petto, come solo il canto sa fare:

” … io lo so perché tanto / di stelle per l’aria tranquilla / arde e cade, perché si gran pianto / nel concavo cielo sfavilla”.

sabato di mezz’agosto

Dunque di sabato pomeriggio, in un caldo ventilato dal temporale notturno, non resta che godersi il silenzio, le veneziane che sbattono spazzando l’ordine della luce nella stanza, un pallone calciato in giardino, il frinire delle cicale in amore. E’ bello constatare che il sabato non significhi più eccitazione o attesa e che non mi appartenga più l’età dell’ansia per le cose da sognare, ma solo il piacere di partecipare a un quadro d’esistenza che mi comprende in un sistema di gesti, fatti, affetti e cose di cui non è importante determinarne il possesso, ma apprenderne giorno per giorno l’indipendenza. E’ uno stato di consapevolezza assorta che mi dice tutto di un tutto che non si chiede null’altro da sé e dal suo moto regolare fatto di suoni che non necessitano erudizione, bravura, ritmo prestabilito. Un ordine nel caos o, più esattamente, un caos fatto di tanti piccoli ordini naturali, bioritmi che intersecano il loro corso nella sinfonia del cosmo.

lo scrototipo: medioman (appunto pasoliniano)

[tu non pensavi di poter essere un prototipo umano, eppure di te hanno scritto pagine e pagine in libri diversi, talvolta sei stato alto, altre volte magro, più volte donna e qualche volta uomo, ma quel che è strano, seppur non mi sorprenda, è che la natura del tuo essere, tanto ben descritta, abbia sempre condotto per logica et in larga misura alla tua definizione, nello stesso misero modo.]Continua a leggere…

un-po(‘)-etic

In una nave che affonda
gli intellettuali sono i primi a fuggire
subito dopo i topi
e molto prima delle puttane.

Vladimir Vladimirovič Majakovskij

accendo le mie lanterne rosse
come buon auspicio, sull’uscio,
non sempre si apron le cosce,
a volte si accoglie semplicemente un’idea
come fosse un viandante.

1#

L’inadeguatezza è il segno distintivo che marca il nostro “stare” nelle stanze del tempo. Lo spazio, esterno ed interno, non è altro che l’estensione di un’illusione, la presunzione della libertà d’azione nell’attraversare il presente, nel mutare, restando materia in decomposizione. Materia di materia per nuova materia, per nuovo nulla.

2#

Lo spazio come architettura, quindi come progettualità, fallisce al suo primario compito di “proteggere”, “custodire”, sostituendo al senso protettivo del contenimento quello della reclusione: il soffocamento dell’ambiente e del respiro si inginocchia dinanzi alle necessità del paesaggio urbano, cui fa da sfondo la presenza impassibile ed assente degli oggetti, che hanno il privilegio di contenerci, ed in qualche misura di “gestirci” fino a sopravviverci, immobili.Continua a leggere…

Carfagnate e qualche precisazione

bottoA sentenza pronunziata a carico del sig. Silvio Berlusconi, come previsto, assistiamo al susseguirsi di dichiarazioni e prese di posizione dell’apparato politico del PDL.
Tentando di osservare la vicenda con il necessario distacco dello scrittore, l’immagine che mi si restituisce è quella degli scarafoni dopo la vaporizzazione del DDT sulla loro tana: uno scomposto muoversi di scatto, senza colpo ferire, senza meditazione, un moto istintivo di sopravvivenza. Ma tornando ai fatti, la sentenza è arrivata come un botto annunciato, un gioco d’artificio che, per quanto atteso, scuote con la forza del suo tuonare e l’imbarazzo delle sue tante luci colorate, lì nel buio tutte insieme. E da quelle luci, nude nel buio, sembrano fioccare le dichiarazioni, tra premeditazione apprise par cœur [imparata per tempo a memoria] e stizza contenuta con mal celata difficoltà.

Ne prendo una dal mucchio, quella che più di tutte mi interessa commentare, un po’ perché a rilasciarla è una donna, una delle donne simbolo dell’apparato governativo dell’ultimo ventennio; un po’ perché nella sua ipocrisia (ipocrisia del messaggio, l’equazione eventualmente mi potrebbe appartenere intimamente e non sarebbe dunque sindacabile non essendo esposta per iscritto) dice due cose gravi, gravissime:
in primo luogo perché sono una distorsione della verità e
in secondo luogo perché minimizzano un reato, fino a sdoganarlo totalmente, come la marachella di un bambino, cui non si può non perdonare anche col sorriso, di aver infilato le dita nella torta in piena festa.

Dunque andiamo a noi e leggiamo una delle affermazioni della Carfagna all’arrivo della notizia della condanna del capo del suo partito, sig. Silvio Berlusconi:

“Grande amarezza e stupore. Questo è l’epilogo di una lunga guerra, durata 20 anni, di una piccola parte della magistratura contro uno dei più grandi leader politici italiani, che è anche uno dei maggiori contribuenti. Fa stupore pensare, infatti, che una persona possa evadere il fisco per pochi milioni di euro quando ne versa alcuni miliardi”
Mara Carfagna

Sorvolando sull’uso improprio del termine “guerra”, oggi usato eversivamente e, mi si passi, anche in modo grossolanamente drammatizzante dal sig. Sandro Bondi, ciò che mi preme dunque rispondere sinteticamente alle affermazioni della signora Carfagna è che il sig. Silvio Berlusconi paga sì le tasse per un ammontare annuo pari più o meno a 450 milioni, relativi a proventi noti, accertati e “alla luce del sole” a suo nome, proventi quindi “non evadibili” in quanto non si può sfuggire dal pagamento degli stessi, purtuttavia bisogna aggiungere a questa mera constatazione dei fatti, un altro fatto non meno rilevante, ovvero che la condanna pervenuta ieri riguarda solo i due anni di evasione sotto processo che non siano caduti in prescrizione, pertanto la cifra che si considera evasa non riguarda un trentennio o più di attività imprenditoriale e politica, ma solo i due anni “sotto processo” anche se il meccanismo evasivo ricopriva un lasso di tempo impunito di decine di anni “prescritti” anche grazie ad una serie di interventi “ad personam” che il sig. Silvio Berlusconi ha magistralmente messo in atto durante gli anni del suo Governo.
Facendo due semplici calcoli allora, sarà facile comprendere che “l’evasione di pochi milioni di euro” asserita dalla Carfagna non corrisponde al vero, dacché l’ammontare “noto” evaso ammonterebbe già a centinaia* di milioni di euro, per i quali gli onesti contribuenti italiani non verranno sollevati mai di un centesimo.

(*ma io non ci credo) – cit

La terra dei cachi

«O la politica è capace di trovare soluzioni capaci di ripristinare un normale equilibrio fra i poteri dello Stato, e nello stesso tempo rendere possibile l’agibilità politica del leader del maggior partito italiano, oppure l’Italia rischia davvero una forma di guerra civile dagli esiti imprevedibili per tutti»
Sandro Bondi

Titolo questa breve nota “la terra dei cachi” perché non trovo definizione migliore per una nazione che consente cose così esilaranti da superare il grottesco fino a cadere non solo nel pessimo gusto, ma peggio nel reato però “concesso”, permesso e legittimato da una presunzione di libertà che come la giustizia pare non essere uguale per tutti.
Entro nel merito e mi spiego.
Solo pochi giorni fa sono state eseguite perquisizioni a tappeto tra i membri dei NO TAV, perché considerati, tutti, più o meno indistintamente “pericolosi e eversivi”; la logica delle perquisizioni a tappeto non mi piace e non mi piacque la decisione di tacciare di pericolosità ed eversione indistintamente un movimento che ha delle rivendicazioni fondamentali e vitali [che riguardano il destino di un’intera vallata con la sua comunità di persone (PERSONE, ESSERI UMANI)] da porre sul campo, senza essere – peraltro – ascoltato; pur tuttavia in nome della giustizia e della legge e della stabilità dello Stato, si è deciso di perquisire e tenere sotto stretto controllo ogni atto di possibile o presunta eversione del movimento su citato.
Ed è un fatto di cui si prende atto.
Quanto non torna in merito all’eversione e alla pericolosità sta dunque nella diversa posizione e nel diverso atteggiamento di “rimprovero” ma di tolleranza estrema nei confronti di Membri delle Istituzioni che, dinanzi a una sentenza in terzo grado della Cassazione, che riguarda un leader di partito, un imprenditore, un ex Presidente del Consiglio di questa stessa nazione, si possono permettere di definire il condannato in questione come “perseguitato dalla giustizia” e meritorio di “Grazia”, minacciando e paventando peraltro in caso contrario alla concessione della grazia, la possibilità di una guerra civile.
Non è eversione? Non c’è pericolosità e danno in queste parole?
No, ma c’è di più: oltre alla gravità di queste affermazioni c’è la comicità della provenienza delle stesse, che non finisce mai di stupire e di superare se stessa.
Già, perché le parole riportate in apertura di questa breve nota, sono state proferite da quel Sandro Bondi che ha guardato impassibile sgretolarsi secoli di storia tra gli scavi di Pompei, ed è lo stesso Sandro Bondi poeta dal cuore tenero che si commuove scrivendo l’ode a Donna Rosa, nonché lo stesso Bondi che non brandirebbe mai un’arma per difendere nessuno, men che meno se stesso, dacché se solo gli facessero “bù” all’orecchio, tremerebbe come un budino di crema pasticcera. Dunque c’è da chiedere al sig. Bondi: “ma lei chi manderebbe a far la guerra pel su padrone?”, quale figlio di mamma dovrebbe difendere un evasore in nome della vostra libertà di stravolgere le Istituzioni a uso e consumo dei malfattori?
E’ mai possibile che l’Italia si sia ridotta a questo? E’ mai possibile che questo popolo possa insorgere per difendere un delinquente evasore, conclamato tale non da me, ma dalla Cassazione? E come è ancora possibile che questo stesso popolo sia stato così ottenebrato da sopportare, ma peggio SUPPORTARE per vent’anni, 20 lunghi e passa anni, lo sfacelo delle sue Istituzioni, della sua cultura, della sua stessa educazione al bello, all’ironia, al rifiuto del grottesco, e ancora peggio alla sua storia?
Sì, è possibile.

da “lettere a Marosia” – #1

[…]
Sono stata a Milano la settimana scorsa, c’era un’afa infernale e zanzare grosse come elicotteri.
In vero Milano l’ho amata da ragazza, negli anni dell’Università in cui l’ho vissuta sentendo di appartenerle nel profondo. Ma le città sono come i grandi amori, una volta che si incrina il rapporto resti ancorato al ricordo, all’immagine che avevi di te nel suo grembo e quando ti rendi conto che l’immagine ha un altro aspetto, allora ne senti profondo il disagio, irrimediabile la “disappartenenza”.
Però la pioggia improvvisa sa lavare via ogni cosa, rendendo magico tutto per un istante in equilibrio.
[…]